L’aumento dei tassi di interesse sta gravando su moltissimi aspetti economico finanziari sia a livello macroeconomico che a livello microeconomico.
Come era logico aspettarsi, incide anche sui ravvedimenti per i pagamenti delle imposte arretrate e, in particolare, incide sulla scelta del singolo contribuente circa l’utilizzo o meno dell’istituto del ravvedimento operoso.
Il problema non è di poco conto se si considera che nel giro di due anni il tasso legale si è moltiplicato di 500 volte passando da 0,1% nel 2021 al 5% nel 2023.
Sebbene l’aumento dei tassi non abbia inciso sul dilazionamento dei pagamenti di alcune imposte, ha invece inciso, e anche pesantemente, sui ravvedimenti operosi dal momento che per il 2023 il tasso è del 5%.
Si segnala inoltre la contraddizione interna al sistema considerato che in caso di accertamento con adesione, o di rinuncia all’impugnazione dell’accertamento, viene applicato un tasso del 3,5% anziché del 5%.
Non si comprende come mai due istituti che rispondono alla stessa logica premiale, nel caso in cui il contribuente decidesse di regolarizzare la propria posizione, possano avere una tale differenza di valore nei tassi di interesse.
Se è vero che sia il ravvedimento operoso sia l’accertamento con adesione hanno una funzione premiale vi è una ingiustificabile disparità di trattamento tra i due istituti che sicuramente inducono il contribuente, qualora possibile, ad attendere l’arrivo dell’accertamento anziché ravvedersi spontaneamente.
Ad Formandum
